I morti viventi di George A. Romero e D. Kraus – La nave di Teseo 2020
Per chi non lo sapesse, Romero è il regista che ha inventato il genere cinematografico “zombi”, in cui i protagonisti sono quegli esseri grotteschi che negli ultimi vent’anni hanno goduto di un continuo successo di pubblico grazie a film e serie tv. Il suo primo film “Night of the Living Dead” (“La notte dei morti viventi” del 1968) fu una vera e propria rivoluzione sia in termini strettamente cinematografici che per i suoi contenuti politici. Romero in questo film parteggia per gli zombi, la massa proletaria e informe che dilaga portando terrore e caos nell’ordinata vita borghese americana, rivendicando i propri diritti negati. In altri film delle stesso regista (“Zombi” ovvero Dawn of the Dead del 1978, ad esempio) gli zombi veicolano la sua feroce critica del consumismo.
Per Romero, dunque, lo zombi è diventato la metafora ideale, grazie alla sua duttilità, per descrivere gli orrori delle nostre società: è il consumatore idiota che butta il suo tempo nella ricerca ossessiva di cibo e prodotti… E’ un essere che non crea niente, che non apprezza niente, completamente sottomesso al suo intestino… Un morto che pur non avendo, per definizione, alcun bisogno reale, s’aggira famelico per i centri commerciali. Avanza inebetito… è guidato da un bisogno fasullo… da un istinto imbecille… Il complesso militare-industriale-finanziario è uno zombi… ha fame di giovani talenti… si nutre dei loro cervelli e succhia avido i loro cuori… E come produce i suoi beni? Di cosa sono fatte in fondo le cose che consumiamo? Dello sfruttamento, spesso schiavista, di milioni di operai e contadini. Il mega zombi occidentale sta consumando l’intero pianeta… interi ecosistemi spazzati via, l’estinzione giornaliera delle specie… L’energia e le risorse della Terra… non sono forse sottratte a miliardi di persone che vivono in condizioni disumane?! I consumatori del mondo ricco mangiano carne umana! Non siamo forse noi gli zombi? Zombi sono anche i migranti costretti a lasciare le proprie terre devastate dalle (nostre) guerre, dalle (nostre) carestie, da (nostri) regimi dittatoriali… muoiono a migliaia durante i viaggi della disperazione… ai confini fra Messico e USA, nel Mediterraneo… i loro corpi morti, arrivano trasportati dalle onde, sulle nostre spiagge. E’ una tragedia che si ripete sempre più spesso, negli ultimi vent’anni, lungo le rotte che portano dai paesi poveri a quelli ricchi. Una tragedia a cui siamo assuefatti, noi che vogliamo sentirci al sicuro nelle nostre città fortificate, ma che ci divora da dentro, con i suoi miasmi fatti d’ansia e angoscia, di paura e orrore, d’impotenza e rabbia cieca (Cfr. il film “La terra dei morti viventi” ovvero Land of the Dead del 2005). Gli zombi sono la metafora dell’apocalisse: il mondo è devastato, l’umanità sull’orlo dell’estinzione, tutto si azzera. In questo caso Romero indaga i tentativi di gruppi di sopravvissuti di ricominciare da capo fondando comunità: alcune d’orientamento conservatore, altre progressista ma, inutile dirlo, gli esiti sono catastrofici (Cfr.”Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti”, film del 2009)
Ne I morti viventi di Romero (e Kraus che ha deciso di portare a termine il libro che il regista stava scrivendo da anni ma che non aveva mai terminato) gli zombi acquistano una nuova sfumatura, perché diventano metafora di salvezza per l’umanità. “La paura della morte era la stessa maledetta cosa. Non aveva niente a che fare col morire, ma tutto col non essere riusciti a vivere”. L’ultimo stadio della riflessione estremamente pessimistica di Romero che ambienta l’azione negli USA trumpiani. I morti viventi tentano di insegnare, per l’ultima volta, ai vivi morenti cosa significa stare in pace con se stessi e con il mondo. Ci riusciranno?
Sabina Valenti (articolo e foto)