L'incanto dell'ombra

Se la vita non è sogno allora nulla ha senso

Le Nemesi

  • EVERYMAN Einaudi, Torino 2007
  • INDIGNAZIONE Einaudi Torino 2009
  • L’UMILIAZIONE Einaudi, Torino 2010
  • NEMESI Einaudi, Torino 2011

Il peggior nemico di te stesso: ovvero, come diventare dei masochisti infiniti.

Quelli di Philip Roth sono racconti lunghi usciti a distanza di circa un anno l’uno dall’altro e in effetti la scelta editoriale di pubblicarli insieme è proprio azzeccata. Questi quattro racconti lunghi sono altrettante parabole sulla condizione umana e indagano le vite di uomini che si sono torturati fino alla morte e oltre. Nemesi è una divinità della mitologia greca che aveva il compito di dare giustizia ai delitti irrisolti o impuniti, elargendo gioia o pena a seconda di quanto era giusto; se la prendeva soprattutto con le persone malvagie e e con gli ingrati alla sorte e quindi aveva il compito di riportare l’equilibrio, di redistribuire il Fato. Era una giustizia compensatrice e riparatrice insomma, una dea della vendetta e della punizione che aveva il compito di riportare l’ordine nell’universo. Nella mitologia romana e preromana veniva evocata per placare gli spiriti dei defunti a seguito di disgrazie che cercavano vendetta sui vivi. Oggi si usa la parola nemesi per indicare un periodo negativo che arriva subito dopo uno positivo, per riportare l’equilibrio. Il problema dei protagonisti di questi racconti (tutti cresciuti nella religione ebraica, ma non particolarmente osservanti) è che la nemesi non arriva dall’esterno, dal fato o da Dio, ma è insita nella loro personalissima visione del mondo, nella loro educazione, nel loro imprinting. Questi personaggi sono la propria nemesi, ma, la cosa più tragica è che non se ne rendono conto e non vogliono rendersene conto perché hanno un ego smisurato e blasfemo.

Everyman è un racconto circolare che inizia con il funerale e finisce con la morte del protagonista, un uomo tormentato, incapace di volersi bene, incapace di accettarsi anche se uomo di successo. Al centro di questo circolo c’è un solo momento della sua vita, l’unico che abbia veramente importanza per lui, l’unico in cui si è sentito amato e protetto e al quale ritorna per cercare conforto. Il suo fantasma ci accompagna lungo le tappe del suo calvario, fino alla degradazione senile, quando i nodi vengono al pettine e il tracollo fisico e morale arrivano al culmine: solo la morte potrà liberarlo “dal peso di esistere”.

Indignazione è un lungo flashback: di quelli che durano pochi secondi poco prima che la morte riappacifichi tutto. Anche il giovane protagonista di questo racconto è un fantasma inquieto che studia indignato le fasi che lo hanno portato a quella fine ingiusta laggiù in Corea del Nord. Ingiusta ma inevitabile, perché il suo carattere inflessibile ed egomaniaco, forgiato nelle frustrazioni dei suoi genitori (del padre in particolare) e nell’ambiente culturale e sociale dell’epoca, non potrà che condurlo alla catastrofe, come una profezia che si autoadempie. Però è destinato a non comprendere che non è stata colpa del caso se “le scelte più accidentali, più banali, addirittura più comiche, producono gli esiti più sproporzionati”, ma colpa sua.

L’umiliazione è la storia di un vecchio attore famosissimo che si convince di aver perso “la sua magia”. Non sente ragioni, ascolta solo se stesso, si deprime, vorrebbe uccidersi, si spaventa, si rinchiude in un ospedale psichiatrico e poi ne esce con un apparente equilibrio: l’accettazione che non sarà mai più un attore. Si rinchiude nella sua villetta isolata e un giorno arriva a identificarsi con un opossum. Poi si innamora di una giovanissima lesbica figlia di amici, che gli approda in casa e nonostante la sua ragione gli suggerisca di prendere la relazione alla leggera, si lascia sprofondare nell’illusione di una nuova giovinezza, di un ritorno sulle scene, senza ascoltare o prendere in considerazione i numerosi segnali della catastrofe imminente. L’umiliazione che subisce il suo ego smisurato è insopportabile, ma almeno, alla fine, la recitazione, il teatro, possono aiutarlo a superare la paura del suicidio, attraverso l’interpretazione di Gavrìlovič Treplev il tragico personaggio del dramma di Čechov Il gabbiano.

Nemesi, infine è il racconto di più ampio respiro, quello che conclude in modo perfetto questo splendido polittico newarkese, perché nelle ultime pagine l’amico narratore indaga la psicologia del protagonista. La storia si svolge durante il terribile periodo dell’epidemia di poliomielite del 1944 a Newark. Il protagonista, Bucky, è un’irreprensibile insegnante di educazione fisica con l’incarico di gestire un campo estivo della città. Non è potuto partire per la guerra in Europa con i suoi compagni di scuola perché ipovedente e quindi decide che la sua missione è quella di combattere contro la polio. Suo nonno lo aveva educato ad essere un combattente, uno che non si arrende mai nella vita, ma la malattia imperversa e Bucky vede ammalarsi e anche morire fra sofferenze atroci molti suoi allievi. Si sente tremendamente responsabile dell’incolumità dei ragazzi e delle ragazze del campo estivo, ma, nonostante tutti i suoi sforzi, la situazione peggiora e allora decide di raggiungere la sua fidanzata che si trova in un campo estivo di montagna, isolato e sano. Almeno fino al suo arrivo. Il giovane insegnate si sente tremendamente in colpa, impreca, se la prende con Dio che ha permesso quella tragedia, “Dio il grande criminale”. E se la prende con se stesso, infliggendosi una punizione tremenda che lo condannerà ad una vita miserabile. “Non metterti contro te stesso. Nel mondo c’è già abbastanza crudeltà. Non peggiorare le cose facendo di te un capro espiatorio” gli dice l’amico, nel vano tentativo di aiutarlo. Vano, perché Bucky, ormai da decenni, si era trasformato nella sua stessa nemesi: “Niente di ciò che fa è all’altezza dell’ideale che nutre dentro di sé. […] non riconoscerà mai di avere dei limiti senza sentirsene in colpa”.

Sabina Valenti

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