L'incanto dell'ombra

Se la vita non è sogno allora nulla ha senso

Pronto Soccorso

Allora cammini e ti muovi nel mondo nello spazio che ti circonda, strade, palazzi, uffici, case ambienti che frequenti per fare soldi, per usufruire di servizi devi stare dietro a tante cose pensi, pensi sempre, pensi ai soldi, all’impero romano, a cosa diavolo dovresti rispondere a quel tizio, a come trovare tempo per parlare con qualcuno a cui tieni, i pensieri, sono in grado di andare avanti? forse ho sbagliato tutto… varrà la pena ristrutturare il bagno? vorrei questo vorrei quello… le parole affollano la tua mente, discorsi ricorrenti e discorsi nuovi, un flusso incessante, ogni tanto interrotto dal suono del clacson di una macchina che per poco non t’investe, dalle richieste che ti porge qualcuno guardandoti negli occhi, a lavoro, in ufficio, in fabbrica, a casa… e quante cose che non vanno pensi, magari a cena, magari davanti a un tiggì, quante cose non vanno nel mondo.

Sì sì quanti discorsi si fanno, quante riflessioni politiche, che pirotecniche esplosione d’opinioni lanciamo nel vuoto di lavagne virtuali ingombre di statistiche, gli esperti di ogni cosa ogni giorno infestano la rete… è un teatro quotidiano ogni istante disponibile per chi gli va d’ascoltare, ogni giorno con luce e sole possibilmente, perché nella nebbia e nell’ombra, come sappiamo, le chiacchiere s’attutiscono, si confondono in echi smorzati, si distorcono nel tessuto granuloso d’una coltre asfittica… e lì le chiacchiere stanno a zero, come si dice, la supposta razionalità si riduce all’osso nella lotta con i fantasmi del rimosso, la paura che torna, tentacolare e ben salda alle corde delle nostre viscere, le torce e noi urliamo di dolore, mentre le nostre certezze si sbriciolano veloci, e il vento del reale spazza via tutto, ci lascia nudi e indifesi, il nostro guscio, la nostra tana comoda e odorosa di quel che rimane dei nostri compulsivi consumi, così abitudinaria, è già un lontano ricordo, una larva irreale: rimaniamo lì col nostro corpo. Siamo lì gettati, siamo la sua miserabile consistenza biologica, abbandonata sulla barella, un codice, in fondo ad una fila silenziosamente assente se va bene, strepitosa di lamenti e bestemmie, se va male, dei tuoi odiosamente simili. Pensi.

Strappato dalla tua quotidianità dal tradimento improvviso del corpo, costretto a chiedere la carità del prossimo, scaraventato in un’ambulanza e in quell’urna di plastica e luci, con tubi e siringhe che s’insidiano oltre la tua vista periferica e i volti mascherati che ti fanno domande cretine, sobbalzante sui dossi sfrecciare nel traffico imbestialito e tuonante verso il grande edificio d’un ospedale centrale. L’urlo della sirena s’interrompe, i sobbalzi finiscono, il freddo dell’esterno t’investe e poi oltrepassata la barriera di migliaia di sguardi e parole la tua barella si ferma in attesa che Minosse con un cenno la destini all’imbocco del tuo personale percorso. Quando ti riprendi osservi ammutolito. Osservi la sofferenza. Osservi il lavoro incessante e organizzato degli operatori. Ti domandi come facciano a lavorare in quel caos di continui mutamenti improvvisi. Ti chiedi come facciano ad avere il tempo e la forza di farti una battuta gentile o un sorriso. Altri, messi alla prova da pazienti impossibili, danno risposte brusche, li sgridano, ma mantengono l’equilibrio. Ci sono anziani intrattabili. Ci sono giovani in overdose. Quando riprendono conoscenza alcuni diventano violenti, vogliono andarsene. Osservi l’infermiera che blandisce e rimprovera. Come si fa con i bambini. Diventiamo bambini impauriti e furiosi. Ma gli infermieri ci sanno fare. Professionisti pubblici. Ragioni sui politici che tagliano i fondi alla sanità pubblica… a chi si rivolgono loro quando stanno male? Torni a pensare, ma in modo diverso. Sei al pronto soccorso. Non hai più il lusso di pensare a vanvera. Pensi agli ospedali di Gaza. Pensi alla tua vita. E lo sai che le cose importanti per te sono poche. Intanto uscire salvo da quest’inferno. E poi continuare a ricordarti, se mai tornerai a star bene, fuori di qui, che le cose importanti per te sono poche. E così vale per ogni tuo simile. Tutti questi conflitti per i soldi, per il potere: sono follia. Ricchi e Potenti… bambini capricciosi che giocano con il mio mondo come se fosse il loro. Dovrebbero passare qualche ora in un Pronto Soccorso pubblico. E l’esistenza diventerebbe più tollerabile per tutti. Ti dici che bisognerebbe scendere in strada e urlarlo nelle piazze. E preghi, poco prima che il chirurgo affondi il bisturi nella tua intimità, un Dio in cui non hai mai creduto che se ti fa uscire vivo da qui, andrai per le piazze del mondo a urlare: LE COSE VERAMENTE IMPORTANTI SONO POCHE! Pensi… Poco prima d’affondare nel sonno anestetico.

Stefano Grassi (articolo e foto)



2 thoughts on “Pronto Soccorso

    1. Sono riflessioni nate da un fatto vissuto in prima persona… mi è venuto in mente, nelle lunghe ore di attesa, circondato da una molteplice varietà di disgrazie umane, di collegare l’idea di pronto soccorso che comunemente intendiamo, un luogo dove si cura il corpo, con l’idea che questo posto può soccorrere anche la nostra psiche, dandole la possibilità di scollegarsi dalle routine fatte di maree di pensieri che poco hanno a che fare con la realtà e soprattutto con la nostra autentica interiorità.

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